DAGOREPORT – LE REGIONALI SONO ANDATE A FINIRE COME NON VOLEVA, SALTELLANDO FUNICULÃŒ-FUNICULÀ, GIORGIA MELONI: LA "STATISTA DELLA SGARBATELLA", CHE RISCHIA DI NON TORNARE A PALAZZO CHIGI TRA DUE ANNI, ACCELERA SULLA DOPPIETTA PREMIERATO-LEGGE ELETTORALE, MA NON TUTTO FILA LISCIO A PALAZZO CHIGI: SALVINI E TAJANI SPUTERANNO SANGUE PUR DI OPPORSI ALL’INDICAZIONE DEL NOME DEL PREMIER SULLA SCHEDA ELETTORALE, CHE FINIREBBE PER CANNIBALIZZARLI - LA LEGA È CONTRARISSIMA ANCHE AL PREMIO DI MAGGIORANZA ALLA COALIZIONE (CON LA SOGLIA AL 40%, LA LEGA DIVENTEREBBE SACRIFICABILE) – ALTRA ROGNA: IGNAZIO LA RUSSA SCENDE IN CAMPO IN MODALITÀ SCASSA-MELONI: HA RINFOCOLATO LA POLEMICA SU GAROFANI E SE NE FOTTE DEI DIKTAT DELLA DUCETTA (FIDANZA SINDACO DI MILANO? NO, MEJO LUPI; PRANDINI GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA? NO, QUELLA È ROBA MIA)
DAGOREPORT
EDMONDO CIRIELLI - GIORGIA MELONI
Se le elezioni regionali non presentavano incognite sull’esito - ed è andato tutto più o meno come previsto (Fico vincente in Campania, Decaro in Puglia, Stefani in Veneto) -, gli osservatori politici erano interessati a "pesare" gli equilibri interni alle coalizioni.
In Campania non è andata a finire come voleva, saltellando Funiculì-Funiculà , Giorgia Meloni: il suo candidato, il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, ha fatto una figuraccia raggranellando un misero 35%, mentre il candidato del “campo largo”, l'ex presidente della Camera Roberto Fico, ha incassato un sonoro 60%. Forza Italia ha pareggiato i conti con FdI: i berluscones hanno incassato il 10,72%, i meloniani l'11,93%.
antonio tajani, giorgia meloni e matteo salvini in senato foto lapresse
In Veneto, idem con patate. I suoi camerati le avevano assicurato che lo scrutinio avrebbe certificato un testa a testa fra FdI e Lega.
Ma i tapini di Colle Oppio non avevano fatto i conti con la campagna “Vota Zaia” (attenzione: non “Vota Lega”): con 203 mila preferenze, il “Doge” ha portato il Carroccio a doppiare i meloncini veneti. A dimostrazione di chi ha il vero consenso, da quelle parti. Il voto regionale, infine, ha registrato la trombatura di molti candidati di Fdi, mettendo ancora una volta in risalto la carenza di una classe politica che abbia presa sul territorio. E hai voglia a dire che la tornata in Campania, Puglia e Veneto era solo un "voto locale": i risultati sono diventati il termometro per misurare lo stato di salute elettorale del centrodestra e del centrosinistra, allargato al M5S e ai AVS, in vista del voto politico nazionale del 2027.
analisi elezioni regionali 2025 istituto cattaneo 6
Secondo l’analisi dell’Istituto Cattaneo, “la possibilità di far confluire i voti dei partiti del centrosinistra su candidati comuni, soprattutto nel sud, riapre la competizione anche a livello nazionale’’. Un campanello d'allarme per la "Statista della Sgarbatella" che rischia di non tornare a palazzo Chigi, tra due anni.
Quindi, i geni di via della Scrofa hanno capito che, con la legge attuale, il centrodestra rischia di perdere le elezioni, o quanto meno di vincerle stentatamente (con una strategia elettorale unitaria il centrosinistra avrebbe gioco facile a prevalere nei collegi uninominali). Urge quindi procedere al varo di un nuovo sistema elettorale: si cambiano le carte in tavola così da fregare l'avversario. Un film che, nella politica italiana, s'è già visto più volte.
Per la riforma è sufficiente ottenere la maggioranza dei voti parlamentari e quindi non dovrebbero esserci problemi per i tre caballeros del governo, Meloni-Salvini-Tajani.
Problema risolto? Manco pe' gnente! La Ducetta, in preda alla fregola della cosiddetta “egemonia istituzionale”, alias “premierato”, ha pensato bene di portarsi avanti per tempo: con la nuova legge elettorale vuole permettere di inserire il nome del presidente del Consiglio direttamente sulla scheda (“Giorgia Meloni premier”).
Il "premierato", anche se non approvato, troverebbe una surroga: i cittadini andrebbero a esprimersi nelle urne scegliendo la persona a cui vogliono dare la guida del governo. Sarebbe però una forzatura del "sistema", visto spetta al Quirinale, fatte le dovute valutazioni, il potere di affidare l'incarico e di nominare il premier.
E' l'articolo 92 della Costituzione a dirlo: il Presidente del Consiglio, come del resto i ministri, è nominato dal Presidente della Repubblica, che solitamente conferisce l'incarico al leader della coalizione che ha vinto le elezioni e ha una maggioranza in Parlamento. Fratelli d'Italia vuole quindi bypassare Mattarella? Spoiler: sì, avoja.
Ma non tutto fila liscio nemmeno a Palazzo Chigi: Lega e Forza Italia si oppongono all’indicazione del nome del premier sulla scheda, che finirebbe per cannibalizzarli a vantaggio di Fratelli d’Italia: se Salvini, beffardo, ha proposto di non mettere nessun nome sulla scheda, Tajani deve vedersela con la Famiglia di Arcore, che vedrebbe eclissato il sacro nome di Berlusconi che, a distanza di due anni dalla morte, è presentissimo nel logo del partito.
analisi elezioni regionali 2025 istituto cattaneo 7
Se Tajani non è contrario a priori al sistema di modifica della legge elettorale che ha in mente la Meloni, – proporzionale con premio di maggioranza alla coalizione che ottiene il 40% -, la nuova regola è invece kryptonite per Salvini.
Il motivo è semplice: la soglia del 40% permetterebbe alla “Giorgia dei Due Mondi” (Colle Oppio e Garbatella) di fare a meno della Lega. Il calcolo è presto fatto: con Fdi al 30-31%, Forza Italia al 9-10% e cespugli centristi tra l'1-2%, l’ex Truce del Papeete, ormai alleato rompicojoni, non serve più.
Salvini l'ha capito: sa che più sarà alta la soglia minima per ottenere un premio di maggioranza (ad esempio, dal 45% in su), più Giorgia Meloni sarà obbligata a imbarcarlo nella coalizione.
Va aggiunto che la soglia del 40% potrebbe rivelarsi un boomerang per le "magnifiche sorti e progressive" di Meloni, in quanto raggiungibilissimo anche da un centrosinistra finalmente unito, dopo lo smacco subito alle elezioni del 2022 (quando quel pippone politico di Enrico Letta non riuscì a compattare il “campo largo” e tutti corsero per sé, regalando la maggioranza al centrodestra).
Senza considerare che, come ha sottolineato il politologo D’Alimonte, non si cambia la legge elettorale a un anno dal voto, bensì all’inizio di legislatura.
Preoccupazioni e obiezioni a cui la Macbeth de’ noantri risponde con un “me ne frego”: Fratelli d’Italia, come confermato dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, alla festa di “Libero”, prevede la calendarizzazione del premierato alla Camera a gennaio 2026, e della legge elettorale ai primi di marzo.
Lo stesso mese, stando a quanto annunciato sempre ieri dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, si apriranno i seggi per il voto sulla riforma della magistratura.
Sul fuoco c’è troppa carne, indigeribile per tanti: ragion per cui si è scatenato quel nervosismo, con vittimismo paraculo annesso, che ha spinto la Sora Giorgia a cavalcare il “complotto del Colle per fermare il governo”.
Una strategia, concertata tra i capoccioni di via della Scrofa, diretta a destabilizzare l’autorità istituzionale super partes di Sergio Mattarella, che vede tali riforme come mortifere per l'ordinamento democratico costituzionale.
Quando poi Giorgia Meloni ha annunciato “Il caso Garofani è chiuso”, ci ha pensato lunedì Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato, a riaprirlo e inasprirlo: "In ambiente di tifosi, a ruota libera, il consigliere di Mattarella si è lasciato andare improvvidamente a tutta una serie di valutazioni sul governo. Se fosse stato di destra, sarebbe stato crocifisso".
Dopo un’ora e mezza dalla dichiarazione, con un Capo dello Stato incazzatissimo, quel furbo laureato di ‘Gnazio, ha fatto capire che l’uscita era ben pensata e mirata: anziché ritrattare, si è limitato a un colpetto di freni: “Anche io, come Giorgia Meloni, considero chiuso e sul quale ho espresso personalmente sin dal primo minuto, piena solidarietà al Presidente Mattarella”.
E poi ha aggiunto, velenosissimo: “Certo, ho detto, forse in maniera troppo sincera, che Garofani potrebbe essere imbarazzato a svolgere il ruolo non di Consigliere ma di Segretario del Comitato Supremo di Difesa. Ma non tocca a me chiedere le sue dimissioni e nemmeno l’ho fatto”.
E così, ora i Fratelli di Meloni si ritrovano con un tosto e sotterraneo correntone tra i piedi che spadroneggia dalla Lombardia alla Sicilia e se ne fotte, sotto l’esperta e abilissima guida dei Fratelli La Russa (Ignazio e Romano), dei diktat dell’ex attivista del Fronte della Gioventù diventata premier (Fidanza sindaco di Milano? No, mejo Lupi; Prandini governatore della Lombardia? No, quella è roba mia).
E chissà quanto si è pentita la Meloni di aver fatto imbufalire il malconcio Silvio Berlusconi mettendo La Russa sulla poltrona della presidenza del Senato, carica importantissima a cui Lei teneva moltissimo: in caso di “indisposizione” dell’ottuagenario Mattarella, è ‘Gnazio quello che prenderebbe il suo posto...
NON ABBIAMO L'ANELLO AL NASO - FAZZOLARI, ALLA FESTA DI “LIBERO”, SOSTIENE CHE DOPO LE REGIONALI “NULLA È CAMBIATO”. MA ALLORA PERCHÉ IMPROVVISAMENTE GIORGIA MELONI ACCELERA SU PREMIERATO E LEGGE ELETTORALE? – IL SOTTOSEGRETARIO RESPINGE LA TESI DEL “DISEGNO” DI PALAZZO CHIGI DI CAMBIARE LE REGOLE IN CORSA PER NON PERDERE LE PROSSIME POLITICHE: “LA RIFORMA COMPLETERÀ L’ITER PARLAMENTARE ENTRO LA FINE DELLA LEGISLATURA, POI VERRÀ SOTTOPOSTO AL GIUDIZIO DEGLI ITALIANI. A QUEL PUNTO SAREBBE BENE AVERE GIÀ PRIMA LA LEGGE ELETTORALE CHE RISPECCHIA QUELLA ADOTTATA CON LA FORMA DEL PREMIERATO: UN PROPORZIONALE CON PREMIO DI MAGGIORANZA E INDICAZIONE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO”
Giovanbattista Fazzolari - Mario Sechi
(ANSA) - ROMA, 26 NOV - "Per la riforma del premierato si completerà l'iter parlamentare, come è stato fatto per quella della giustizia, e poi verrà sottoposto al giudizio degli italiani. Il governo di centrodestra è stabile e stiamo vedendo quanti vantaggi concreti si hanno con la stabilità ".
Lo ha detto Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario all'Attuazione del programma, all'evento "Energie nuove. Investimenti, reti, relazioni", promosso da Libero Quotidiano.
FAZZOLARI,LEGGE ELETTORALE DOVREBBE RISPECCHIARE PREMIERATO
(ANSA) - ROMA, 26 NOV - "Trovo molto sbagliato provare ad adattare legge elettorale alla convenienza dell'una o dell'altra coalizione. Sono belli i Paesi in cui la legge elettorale non cambia mai. Noi vorremmo immaginare una legge elettorale già adatta alla riforma del premierato.
Il referendum con ogni probabilità si terrà nella prossima legislatura, a quel punto sarebbe già bene avere una legge elettorale che rispecchia quella che dovrà essere adottata con la forma del premierato".
giovanbattista fazzolari e giorgia meloni
Lo ha detto Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario all'Attuazione del programma, all'evento "Energie nuove. Investimenti, reti, relazioni", promosso da Libero Quotidiano.
"Credo che il sistema che vige per sindaci o regioni, dove tendenzialmente l'elettore sa chi sarà a guidare il governo e quale coalizione lo supporta, è il modello che andrebbe seguito - ha aggiunto -: un proporzionale con premio di maggioranza e indicazione del presidente del Consiglio è anche il modo più trasparente per interessare chi non fa politica".
FAZZOLARI, CON LE REGIONALI NULLA È CAMBIATO
(ANSA) - ROMA, 26 NOV - "Nulla è cambiato, da quando si è insediato il governo non ci sono state sorprese particolari. In questa ultima la tornata elettorale sinistra confermato le sue roccaforti, senza riuscire ad affermarsi in altre regioni.
Il consenso complessivo del centrodestra non è mutato in oltre tre anni di governo, con scelte serie fatte dal governo, non era per nulla scontato". Lo ha detto Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario all'Attuazione del programma, all'evento "Energie nuove. Investimenti, reti, relazioni", promosso da Libero Quotidiano, commentando i risultati delle Regionali.
"Ho sentito che è stato un campanello allarme per Meloni, ma sono andato a vedere i dati: rispetto alle ultime regionali in cui si è votato, FdI è cresciuto di parecchio, in alcuni casi è raddoppiato, in altri più che raddoppiato. Rispetto a Politiche ed Europee FdI cala. Abbiamo scoperto - ha aggiunto sorridendo - che quando il candidato è Giorgia Meloni il partito va meglio, è un dato che ci sta. Prendiamo atto del consenso personale di Meloni. Ma FdI cresce anche quando Meloni non è candidata"
Giovanbattista Fazzolari Mario Sechi
SCONTRO SU PREMIERATO E LEGGE ELETTORALE FRATELLI D’ITALIA ACCELERA IL PD: SANNO DI PERDERE
Estratto dell’articolo di Adriana Logroscino per il “Corriere della Sera”
Il governo accelera sul premierato. La minoranza si infuria leggendo una strategia di Giorgia Meloni che, combinando insieme riforma elettorale ed elezione diretta del premier, avrebbe «i pieni poteri che invoca». E promette: «Faremo opposizione durissima. Hanno perso le elezioni, questo è il vero scossone».
La coda dello scontro post elettorale arriva in Parlamento. Con la richiesta, avanzata dal governo, in conferenza dei capigruppo alla Camera, di calendarizzare a gennaio la riforma costituzionale, cara a Meloni, che prevede l’elezione diretta del premier. Già passata in Senato, era in standby da un anno.
[…] Il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari respinge la tesi del «disegno» effetto dei risultati delle ultime elezioni regionali: «Nulla è cambiato. Il consenso complessivo del centrodestra non è mutato e Fratelli d’Italia, rispetto alle ultime Regionali in cui si è votato, è cresciuto di parecchio».
Quindi sul premierato conferma: «La riforma completerà l’iter parlamentare entro la fine della legislatura, poi verrà sottoposto al giudizio degli italiani. A quel punto sarebbe bene avere già prima la legge elettorale che rispecchia quella adottata con la forma del premierato: un proporzionale con premio di maggioranza e indicazione del presidente del Consiglio».
La minoranza, appunto, diffida e per ora si oppone a qualsiasi confronto. Chiara Braga, capogruppo del Pd, sospetta che l’accelerazione sul premierato sia collegata all’intenzione, annunciata da FdI, di modificare la legge elettorale: «Dopo le Regionali hanno paura di perdere».
E legge la mossa anche in rapporto alla sfida interna alla maggioranza: «La Lega, forte del successo in Veneto, ha bloccato la legge sul consenso nella violenza sessuale, Tajani ha stoppato l’ipotesi del nome del premier sulla scheda e Meloni alza la voce, rivendica la leadership e torna a riproporre il premierato, cioè a rivendicare il premio per il patto di potere che li tiene incollati al governo anche con divergenze molto forti. Una nuova forzatura che riafferma il suo modello di donna sola al comando».
[…] E se Matteo Salvini si smarca da un tema «che poco appassiona gli elettori» gli sherpa indicati dai diversi partiti per la trattativa sulla legge elettorale, sotto traccia tessono e sono fiduciosi: «Lasciamo si abbassi la polvere provocata dal voto e tutti rivedranno le loro ragioni, inclusa l’opposizione. Anche a Elly Schlein preme di poter governare, in caso di vittoria».
MELONI COL FIATONE SUL COLLE! DOPO LA SVEGLIA ALLE REGIONALI, LA PREMIER HA FRETTA DI CELEBRARE IL REFERENDUM SULLA GIUSTIZIA. MA LA DATA INDICATA DA NORDIO (ENTRO’ LA PRIMA META’ DI MARZO) È UNA FORZATURA RISPETTO ALLE NORME. E SE SI ACCORCIANO I TEMPI DELLA RACCOLTA DELLE FIRME, SI RISCHIA UN ALTRO STRAPPO COL COLLE DOPO L’ARTICOLO DELLA “VERITÀ” SUL PRESUNTO COMPLOTTO DEL QUIRINALE PER FERMARE MELONI – “LA STAMPA”: “LA MORALE DELLA FAVOLA È POLITICA. TUTTO QUESTO TRAMESTIO DI DATE, SOMMATO ALLA DISCUSSIONE SULLA LEGGE ELETTORALE, SOMMATO AL FATTO CHE SI TORNA A PARLARE DI PREMIERATO, CI RACCONTA IL PUNTO ESATTO IN CUI SI TROVA GIORGIA MELONI. SPARISCONO GOVERNO E ITALIA REALE. IL PRIMATO È DEL CALCOLO POLITICO ATTORNO AL POTERE, DA MANTENERE E RIDISEGNARE”
Alessandro De Angelis per "la Stampa" - Estratti
Era già tutto previsto. Annunciato nei comizi, il premierato risuscita anche nell'agenda parlamentare.
Annunciata, a sconfitta ancora calda nel Sud, la legge elettorale, ecco la sollecitazione da parte del presidente del Senato. L'ultimo tassello della "grande forzatura" lo esplicita il guardasigilli Carlo Nordio: "Il referendum sulla giustizia si terrà entro la prima metà di marzo, secondo i nostri calcoli".
E allora, per capire calcoli e strappi anche su questo terreno, occorre partire dalla norma, e da una lunga consuetudine. Prevede, una volta approvata in via definitiva la legge, un processo in tre fasi. Prima: tre mesi dalla pubblicazione in Gazzetta per raccogliere le firme tramite parlamentari, cittadini Regioni.
Secondo: verifica della regolarità delle medesime da parte della Cassazione entro 30 giorni:
giorgia meloni e sergio mattarella - consiglio supremo della difesa
Terzo: indicazione del voto da parte del presidente della Repubblica su deliberazione del cdm. La data si può fissare in una domenica compresa tra il 50esimo e il 70esimo giorno successivo al decreto. (...)
Ora l'intenzione del governo. Interpellati sulla data di metà marzo, a via Arenula ci spiegano che le firme dei parlamentari sono già state depositate e l'ufficio centrale della Cassazione ha già dato l'ok.
Quindi si può procedere, senza aspettare la raccolta delle firme popolari, anche perché, al momento, non c'è. Bene, però non si può escludere che qualcuno si possa cimentare nell'impresa, visto che ormai è possibile raccogliere le firme online.
Né si può escludere che si mettano all'opera cinque Regioni, in questo caso di centrosinistra, schierato sul no. E' ininfluente dal punto di vista della convocazione delle urne, ma comunque rappresenta l'esercizio di un diritto. Detta in modo un po' grezzo: se qualcuno le raccoglie e nel frattempo viene fissata la data, la Cassazione dice "scusate, il governo ha chiuso lo sportello?".
Andiamo al punto. Giorgia Meloni ha fretta. Il calcolo politico suggerisce: "Prima è, meglio è", per evitare rischi. Si sa, spesso, più che l'oggetto nei referendum conta il clima che si viene a creare. Lo sa bene Matteo Renzi, che nel 2016 verificò la stessa possibilità di accorciare i tempi, fissando la data a ottobre prima delle elezioni americane. Sentiva che l'aria stava cambiando e che, tra le altre cose, la prima elezione di Donald Trump sarebbe stata un amplificatore della rivolta anti-establishment.
Il Quirinale, proprio in base alla norma inerente alla raccolta delle firme popolari (allora in progress), sconsigliò caldamente. E si andò al 4 dicembre. Analogo sondaggio col Colle finora non è stato fatto da palazzo Chigi ma è assai probabile che Sergio Mattarella non abbia cambiato idea. E che quindi Giorgia Meloni si troverà davanti al dilemma che investe i suoi rapporti col Quirinale, peraltro dopo le note vicende.
La morale della favola è tutta politica. Tutto questo tramestio di date, sommato alla discussione sulla legge elettorale, sommato al fatto che si torna a parlare di premierato, ci racconta il punto esatto in cui si trova Giorgia Meloni. Priorità e agenda di qui alla fine della legislatura. Spariscono governo e Italia reale. Il primato è del calcolo politico attorno al potere, da mantenere e ridisegnare.
FONTE: Dagospia


















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